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domenica 1 marzo 2020

Il Servizio Sanitario deve Essere Pubblico e Nazionale

Il Servizio Sanitario deve Essere Pubblico e Nazionale


Il Coronavirus, il famigerato Covid-19 che sta sconvolgendo la vita di milioni di italiani, un merito lo ha: sta facendo venire a galla, di fronte a una emergenza di questa portata, il fallimento del federalismo applicato ferocemente sul Servizio Sanitario.

In una situazione come quella attuale di massima allerta e attenzione per la tutela della salute pubblica ha fatto più che bene il Presidente del Consiglio a richiamare le Regioni e a paventare l’avocatura al governo di tutte le funzioni sanitarie.

Il cosiddetto federalismo ha avuto un ruolo di deflagrazione del servizio sanitario nazionale inasprendo le disparità territoriali e dando impulso alla sanità privata a scapito di quella pubblica.

La Lombardia, eccellenza sanitaria, è oggi terreno di larghi profitti dell’industria sanitaria privata con il servizio pubblico schiacciato sempre più ai margini, tempi di attesa impensabili solo dieci anni fa oggi sono la realtà: mesi per un esame pubblico, un paio di giorni al massimo per uno privato, una svolta dura, frutto dei decenni di governo del “celeste” Formigoni che oggi la 
Lega si ostina a perpetuare.

Di fronte alle regioni che nonostante le direttive del Ministero della Salute si muovono in ordine sparso è lampante quanto sia necessario tornare ad avere un sistema sanitario nazionale degno, che torni a rappresentare la necessaria universalità del welfare, che riesca a redistribuire sull’intero territorio nazionale i servizi sanitari e i loro presidi.

Il coronavirus fa crollare questo indegno spezzettamento della sanità pubblica che rappresenta ed è un attacco feroce al welfare, alla sua indispensabile universalità, con leggi, nomi, burocrazia, ticket, accessi diversi da regione a regione che hanno prodotto un unico risultato: l’assalto dei grandi gruppi del settore tesi al profitto massimo con un danno incalcolabile sulla salute pubblica e quindi con ulteriore peso sulla finanza pubblica.

La delega alle regioni delle materie sanitarie ha aumentato, è un dato di fatto, le disparità e ha impedito e impedisce a milioni di cittadini il diritto alla salute.

Tornare a un sistema sanitario nazionale deve essere un obiettivo prioritario, ripensare i presidi territoriali, superare l’attuale sistema del “medico di famiglia” figlio della figura del medico condotto, rendere la salute pubblica diffusa su tutto il territorio del Paese l’unico vero virus benevolo.

Ciò che resta del nostro sistema sanitario che ancora è denso di eccellenze e capacità deve essere assolutamente valorizzato e finanziato, espanso e diffuso.

E’ una questione, reale e vera di democrazia, è terreno di giustizia sociale. Irrimandabile.


la #SanitàPrivata NON si #Occupa del #Coronavirus


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2 di Picche a Salvini su Governissimo ed Elezioni

Lega e Italia Viva

Alla fine l’incontro al Quirinale tra Sergio Mattarella e Matteo Salvini non è andato come sperava il Capitone. Ieri i giornali erano pieni di retroscena sul governissimo per far fuori Conte che i due Mattei erano pronti a mettere insieme, e che quindi avrebbe potuto avere una maggioranza ampia dalla Lega a Italia Viva.

Come Mattarella ha dato il due di picche a Salvini su governissimo ed elezioni
Ma nel colloquio al Quirinale durato una ventina di minuti il segretario del Carroccio ha chiesto di «riaprire il Nord» e illustrato le sue proposte economiche. Senza andare oltre. Anzi, racconta Wanda Marra sul Fatto, c’è stato un bell’esempio di scena muta all’interno di una tragedia in due atti:

Scena numero uno. Si svolge alla Camera, quando, davanti ai cronisti convocati per l’occasione, Matteo Salvini dichiara: “La Lega c’è per accompagnare il paese al voto e fuori dal pantano”. Un’apertura al governo di unità nazionale che Renzi evocava mercoledì pomeriggio in Senato.

2 di Picche a Salvini su Governissimo ed Elezioni


SCENA NUMERO DUE. Sergio Mattarella e il leader della Lega si incontrano al Quirinale. Nei racconti che arrivano da entrambi i protagonisti il colloquio è interlocutorio.Il leader della Lega dice al presidente che serve un rilancio dell’economia. Senza parlare né di elezioni, né di un altro esecutivo. Di fondo, dunque, un tentativo di riaccreditarsi in maniera più istituzionale. Tanto che il presidente gli può suggerire: “Un governo c’è, dategli una mano”.

L’unità nazionale, secondo il presidente della Repubblica, si può fare quindi tranquillamente con il governo in carica se le intenzioni sono sincere. Ma siccome, appunto, le intenzioni della Lega non sono sincere perché al Carroccio interessa solo andare al voto il prima possibile, ecco che si spiega il due di picche del Quirinale al Capitano.

Ma il governissimo è ancora nei pensieri dei due Mattei
Anche il retroscena della Stampa oggi conferma che tra Salvini e Mattarella non si è parlato di governissimo ma l’incontro è servito perlomeno a ricucire gli strappi tra la Lega e il Quirinale: per questo il “regista” Giancarlo Giorgetti può dirsi soddisfatto. E registra comunque un’apertura sul futuro prossimo con l’esecutivo Conte in difficoltà e l’ombra della recessione che si staglia sempre più minacciosa sull’Italia:

Il dubbio che un governo fragile in Parlamento, e minoritario nel Paese, possa resistere a lungo non è soltanto di Salvini o del centrodestra. Chiunque abbia la testa sulle spalle si pone delle domande. Il futuro, piaccia o meno, è sul tavolo del presidente.

2 di Picche a Salvini su Governissimo ed Elezioni


Ma, si spiega ancora, l’ex ministro dell’Interno cerca invece un «traghettatore» che porti alle elezioni politiche, non fa nomi ma è chiaro quale sia la scialuppa che gli servirebbe: quella di Italia Viva.

Dovrebbe essere Matteo Renzi il protagonista di una crisi di governo con l’obiettivo comune di far fuori il premier e mettere in piedi una “Cosa” che traghetti, appunto, fuori dall’emergenza economica provocata dal coronavirus e metta in campo quel «piano choc» di cui ha parlato ieri Salvini. Riprendendo (non a caso) l’espressione usata nelle scorse settimane dallo stesso Renzi per lanciare il suo progetto economico basato soprattutto sul finanziamento 
di opere pubbliche e nuove infrastrutture.

Ma «la premessa necessaria per un piano di rilancio del Paese – sostiene Salvini – è che non ci sia più Conte a fare il presidente del Consiglio». Di fatto il «traghettatore» dovrebbe essere Renzi, poi chi sarebbe il nuovo inquilino di Palazzo Chigi è tutto da vedere. Il punto è che non ci sono nomi alternativi a Conte e la mossa di Salvini appare velleitaria non solo ai suoi avversari ma agli stessi alleati di centrodestra.

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E' un insulto all’Italia che affronta il Virus con Dignità,
La mascherina dell’ottusità, e il sorriso amaro del buonsenso...
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Fontana: il tuo Selfie è da Psicosi

Fontana: il tuo Selfie da Psicosi



E' un insulto all’Italia che affronta il Virus con Dignità

La mascherina dell’ottusità, e il sorriso amaro del buonsenso. Se servivano dei simboli antitetitici e solari, per consegnare agli atti della storia la più grande epidemia di psicosi social che il mondo ricordi, oggi i giornali ce ne regalano due che sembrano fatti apposta per viaggiare insieme: la foto acchiappaclick e suicida del governatore Attilio Fontana, e l’intervista della donna guarita dal virus.

La prima, purtroppo, farà il giro del mondo e diventerà un nuovo colpo per la già martoriata economia Lombarda: un karakiri-selfie. La seconda è la vera reazione dell’Italia civile.

Una donna semplice, seria, che non vanta lauree in epidemiologia e spiega: “Noi saremo anche ignoranti, ma qualcuno ha soffiato sul fuoco della nostra ignoranza”.

Ma partiamo da Fontana: Milano è diventata una ghost town, la settimana della moda è stata distrutta, i negozi chiudono, tutti spiegano che bisogna trasmettere messaggi che rassicurino la popolazione, per la prima volta nella storia la fila alla stazione centrale la fanno i taxi, 
e non le persone, e lui cosa fa?

Dopo la scoperta della positività della sua collaboratrice, decide di auto-immortalarsi con la mascherina sul viso (forse ignaro, fra l’altro, che tutti i medici spiegano che coprirsi la bocca sia molto meno importante di lavarsi le mani).

Cosa avrebbe dovuto fare Fontana? Probabilmente nulla, avrebbe arrecato meno danno. O, se proprio voleva, farsi riprendere mentre beve un flacone di amuchina (che almeno serve a qualcosa): ma la sindrome dei pieni poteri ha travolto anche gli insospettabili, ha reso visibile la grana grossa dei piccoli governatori-Stramanore (sia di destra che di sinistra, ovviamente, vedi il caso delle Marche) e allora ecco questa pubblica esibizione di narcisismo virale.

Passiamo alla signora, invece. Dopo la morte di Adriano Trevisan, il primo decesso italiano che ha avuto come concausa il coronavirus, era stata subito sottoposta al tampone.

Sul Corriere della Sera, la penna arguta di Marco Imarisio ci regala la sua testimonianza, che purtroppo per ora resterà anonima: la donna è di Vo’ Euganeo, si sottopone spontaneamente alla prova per tranquillizzare quelli che ha intorno: “Mi guardavano come se avessi sputato il virus nel caffè. Tranquilli, ho detto ai miei amici, non sintomi, sarà negativo”.

Invece, purtroppo, risulta positiva. I medici la ricoverano, per scrupolo. E lunedì mattina – come ci racconta Imarisio – è già tornata a casa, in “isolamento domiciliare fiduciario”: ovvero una quarantena autoimposta di 14 giorni. La sua degenza è durata appena un giorno e mezzo.

Chissà cosa avrebbe fatto, questa donna di 47 anni, se avesse avuto la febbre mediatica di Fontana: probabilmente un film.

Invece, la prima persona dimessa dopo una diagnosi che le assegnava una infezione da virus Covid-19 ci regala la più grande lezione di intelligenza applicata alla crisi: “Sono solo una persona che è andata a casa, come faranno presto tanti altri. Svegliamoci ragazzi, 
che ci stiamo facendo del male da soli”.

Imarisio le chiede cosa le abbiamo detto i medici, e lei risponde così: “Quel che le sto dicendo io. Gli anziani devono stare più attenti, gli altri facciano attenzione
 a non pestarsi i piedi, a tenersi a distanza”.

Poi, quando il giornalista del Corriere della Sera chiede cosa pensi della paura che si è diffusa nel nostro paese esplode: “Ma di cosa? È una influenza, mica muori, se non sei già malato. Mi sembra che siamo diventati tutti scemi”.

La signora, che dice di essere “vecchio stampo”, e di frequentare poco i social, racconta di averlo fatto, come pena aggiuntiva, durante la degenza e spiega: “Mi ha colpito il video di un signore con la mascherina. Sembrava in panico, diceva che ci infetteremo tutti…”.

Finché: “A un certo punto si è tolto la mascherina. E ha detto di essere un malato di cancro, a cui resta un mese di vita. Noi, diceva, andiamo via nell’indifferenza generale, senza rompere i c… a nessuno, mentre voi state impazzendo per questa cosa qui. Ma non vi vergognate? chiedeva. Secondo me, ha ragione lui. Un po’ ci dovremmo vergognare”.

Poi ci spiega due o tre cose che farebbero bene al governatore Fontana: ”Ero positiva, ma senza neppure una linea di febbre. Appena arrivata mi hanno fatto un flebino, di zucchero liquido. Per precauzione, dicevano”.

La profilassi? “L’ unica medicina me la sono data io. Avevo mal di testa, per tutto questo casino, e ho chiesto se potevo prendere un Moment che avevo in borsa. Fine”.

Poi l’ultima verità: “Se non fosse morto il povero Adriano, se fossimo andati lunghi, non avrei saputo di essere positiva. E come me, tanti altri. Non credo sarebbe cambiato nulla”.

Alla fine la signora ci regala l’ultima grande lezione civile della sua intervista: “Se la gente non ragiona con la sua testa e si fa guidare come un gregge, è inevitabile. Ma poi si stancheranno di andare in un altro paese. Quando sarà il momento, le cose torneranno alla normalità. 
Anche se non ce lo meritiamo”.

Imarisio ha incastonato in una pagina la più bella e sana testimonianza che riceveremo in questi giorni di follia collettiva: da far leggere ad alta voce nelle stazioni deserte, nelle aziende chiuse, sui treni vuoti. Mi viene voglia di baciarla, questa signora. E di chiedere all’ansiogeno governatore Fontana, visto che è a buon punto – già che c’è – di imbavagliarsi da solo.


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